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  • Avv. Stefano Paloschi

«Giudice, lei dice il falso!» non è oltraggio.


Le semplici intemperanze verbali di chi assiste ad un’udienza, controllabili ad opera del Giudice, non costituiscono interruzione di pubblico servizio.


Il delitto di oltraggio a magistrato in udienza, previsto e punito dall’art. 343 c.p., è volto a garantire il corretto e libero svolgimento dell’attività giudiziaria, attraverso la tutela dell’onore e della dignità del magistrato in udienza.

Il soggetto passivo è un magistrato (onorario, laico o togato) che deve trovarsi in udienza, per tale intendendosi tutte le volte in cui, in una qualsiasi fase processuale, amministri la giustizia con l'intervento delle parti; ritenendosi, dunque, udienza qualsiasi seduta nella quale si svolge l'attività giudiziaria dello stesso (Cass., Sez. VI, Sentenza n. 54566, 11.2019-11.2.2020).

La condotta è a forma libera, e si estrinseca in qualsiasi offesa verbale, reale (es. con gesti) o con scritti rammostrati in udienza; se è legittima espressione del diritto di critica l’uso di espressioni o di apprezzamenti che investano la legittimità o l'opportunità di un provvedimento in sé considerato, non lo è invece l’uso di quelli rivolti alla persona del magistrato.

Nel caso di specie, la frase che l’imputato avrebbe rivolto al magistrato “Lei dice il falso!” è stata correttamente ritenuta dal Giudice nella sentenza in commento come “una dichiarazione neutra senza contenuto offensivo per il giudice come appartenente alla magistratura in quanto non consistente nel metterne in dubbio serietà e professionalità; la stessa dichiarazione non costituisce peraltro neppure un insulto personale”.

La stessa sentenza esclude come dimostrato il fatto che alla frase sopra riportata si fosse accompagnata anche “Io la denuncio!”; la motivazione, pertanto, non ne analizza l’eventuale idoneità o meno all’integrazione della fattispecie.

Tuttavia, a parere di chi scrive, la proposizione di denuncia – in quanto facoltà riconosciuta dall’ordinamento – non può assumere connotazioni prospettiche di danno ingiusto, e come tale non può costituire pertanto minaccia o condotta minacciosa idonea ad integrare il delitto di oltraggio.




Il delitto di interruzione di un ufficio o servizio pubblico, di cui all’art. 340 c.p., tutela il buon andamento della Pubblica Amministrazione contro fatti che compromettono la regolarità e continuità d’esercizio della funzione o del servizio pubblico, e si consuma ogniqualvolta un soggetto interrompa o anche solo turbi la regolarità d’un ufficio o di un servizio, purché per una durata di tempo apprezzabile.

Il caso di specie, oltre all’inapprezzabilità temporale della contestata interruzione, offre uno spunto interessante di riflessione.

La disciplina delle pubbliche udienze di esecuzione immobiliare, quale era quella ove si è verificato il caso, è disciplinata dall’art. 128 c.p.c., che espressamente prevede in capo al Giudice un potere direzionale, concedendogli “i poteri di polizia per il mantenimento dell’ordine e del decoro”, con possibilità di “allontanare chi contravviene alle sue prescrizioni”.

È lo stesso legislatore che, prevedendo che nel corso di un’udienza (civile o penale) si contrappongano interessi coinvolgenti i quali fisiologicamente portino al verificarsi di intemperanze, conferisce al giudice il potere di dare disposizioni per il mantenimento dell’ordine che, se osservate, rientrano nella ordinaria disciplina d’udienza, senza costituirne interruzione o turbamento (Cass., Sez. VI, Sentenza n. 8725, del 19.04.2000).

Nel caso concreto, peraltro, il Giudice aveva ordinato l’allontanamento del soggetto dall’aula per il tramite della forza pubblica (avvenuto senza incidenti), senza neppure aver impartito previe disposizioni o ammonimenti allo stesso.

Il processo, in definitiva, deve convivere con umane tensioni e passioni, ove queste non trasmodino determinati limiti.



 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI TRENTO


SENT. N. 393/21

R.G. N. 956/19

N.R. N. 3073/18

SENTENZA del 22.06.2021

DEPOSITATA il 09.09.2021



Il Tribunale, in composizione monocratica, presieduto dal Giudice dr. ELENA FARHAT alla pubblica udienza del 22.06.21 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente


SENTENZA


nel procedimento penale


CONTRO

F.P., NATO A I*** IL 21/2/1965, IVI RESIDENTE IN VIA CABASSA 9

difeso di fiducia dall'avv. Stefano PALOSCHI del Foro di TRENTO, LIBERO ASSENTE


imputato


del reato p. e p. dagli arti. 81 — 340 e 343 cp. perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in occasione di un'udienza civile di esecuzione presieduta dal dott. C.M., giudice in Verona, dapprima interrompeva l'udienza pretendendo che un avvocato ivi presente si qualificasse, di seguito affermava che il magistrato stava dicendo il falso e che lo avrebbe denunciato.

In Verona il 16/5/2018


PARTE OFFESA: C.M. c/o Tribunale di Verona


Conclusioni: il PM chiede la condanna per il 343 c.p. a sei mesi di reclusione e l'assoluzione per il 340 C.P.

Il difensore dell'imputato: chiede l'assoluzione perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato per l'art. 340. Per l'art. 343 chiede l'assoluzione perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato; in subordine, minimo edittale, attenuanti generiche e benefici di legge.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal PM, regolarmente notificato nei termini previsti dalla legge, l'odierno imputato è stato chiamato a rispondere davanti al Tribunale in composizione monocratica dei reati ex artt. 81, 340 e 343 c.p.; l'imputato, difeso di fiducia, è rimasto assente per tutta la durata del processo ed è stato assistito da un difensore di fiducia.

All'udienza del 6 dicembre 2019 era presente la persona offesa. Il Giudice procedeva come da separato provvedimento riportandosi alla dichiarazione di adesione all'astensione proclamata dall'Unione delle Camere penali e fissava nuova udienza per 1'8.05.2020 con sospensione della Prescrizione fino a tale data.

L'udienza inizialmente fissata per 1'8.05.2020 veniva rinviata d'ufficio con provvedimento fuori udienza notificato alle parti a causa della normativa emergenziale in tema di pandemia da Covid 19.

All'udienza del 14.12.2020 non essendoci questioni preliminari, la difesa chiedeva l'apertura del dibattimento che veniva pertanto dichiarato aperto. Il PM chiedeva esame della persona offesa, la difesa chiedeva esame dei testi come da lista e audizione dell'imputato. Il Giudice ammetteva le prove richieste e rinviava per l'istruttoria alla data del 19.05.2021 con citazione dei testi a cura delle parti.

All'udienza del 19.05.2021 il PM produceva verbale del 16.05.2018 e venivano introdotti i testi di cui in fonoregistrazione: C.M., A.V., S.S. e M.T.. Il difensore rinunciava al teste P. che veniva revocato in assenza di questioni. La difesa produceva giurisprudenza in ordine ai reati di cui in contestazione. Il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, utilizzabili tutti gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento e invitava le parti a concludere. Le parti concludevano come in epigrafe. Il Giudice disponeva un rinvio per repliche all'udienza del 22.06.2021.

All'udienza del 22.06.2021, in assenza di repliche del PM, il Giudice pubblicava la seguente sentenza, riservandosi il termine di 90 giorni per il deposito delle motivazioni.


MOTIVI DELLA DECISIONE

All'esito dell'attività istruttoria, utilizzabili tutti gli elementi di prova raccolti in dibattimento, i fatti possono essere descritti e riassunti nel modo che segue.

Il 16 maggio 2018 si teneva presso il Tribunale di Verona un'udienza civile di esecuzione immobiliare riguardante la vendita con assegnazione al notaio presieduta dal dott. C.M., giudice dell'esecuzione presso Io stesso tribunale. L'esecuzione riguardava, nel caso specifico, il signor F.P. presente in tale occasione in quanto debitore esecutato. Il giudice dell'esecuzione chiedeva all'imputato di identificarsi che rispondeva farfugliando qualcosa. Al giudice pareva di aver sentito che l'imputato non fosse P.F. ma fosse P. della dinastia F., Sovrano della Serenissima Venezia; a quel punto, il giudice replicava chiedendo all'imputato di precisare quanto lo stesso aveva affermato e chiedendogli se fosse il signor F.P.; l'imputato ribadiva quanto aveva detto e in quel momento rispondeva di non essere il signor F. e che il giudice stesse dicendo il falso alla richiesta di informazioni sulla sua posizione. Il giudice provvedeva a far verbalizzare quanto accaduto. A quel punto il giudice chiedeva che l'imputato venisse allontanato dall'aula e portato fuori; in tale momento di tensione verbale intervenivano i Carabinieri che accompagnavano fuori l'imputato che era in forma di agitazione nervosa. Quando l'imputato se ne andava dall'aula, lo stesso diceva che avrebbe denunciato il giudice; successivamente si chiudeva l'udienza in esame e le altre, previste nella stessa giornata, ricominciavano. Il giudice provvedeva a segnalare quanto accaduto in Procura.

***


Per quanto esposto, in relazione alla posizione dell'imputato, non si può arrivare a concludere per la sua condanna in ordine ai reati di cui in contestazione.

Non può dirsi, infatti, sussistente il fatto di cui all'art. 340 c.p. di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità né può dirsi sussistente il presupposto della condotta in relazione al reato di oltraggio a un magistrato in udienza ai sensi dell'art. 343 c.p. in quanto non risulta configurata l'offesa dell'onore o del prestigio dello stesso.

In ordine al reato di oltraggio al magistrato in udienza ai sensi dell'art. 343 c.p. occorre precisare che la norma in esame tutela l'onore ed il prestigio del magistrato che esercita concretamente, al momento del fatto, l'amministrazione della giustizia. La ratio della disposizione normativa attiene, infatti, alla tutela dello Stato nell'esercizio della funzione giudiziaria ed il reato sussiste quando tale interesse viene leso con espressioni di scherno e gravemente minacciose indirizzate a chi in quel momento esercita la funzione (Cass., Sez. VI, Sentenza n. 37383, del 22.05.2003). Nel caso in esame il tenore delle parole pronunciate dall'imputato esclude che le stesse possano qualificarsi quale oltraggio: affermare che il giudice dell'esecuzione dica il falso costituisce una dichiarazione neutra senza contenuto offensivo per il giudice come appartenente alla magistratura in quanto non consistente nel metterne in dubbio serietà e professionalità; la stessa dichiarazione non costituisce peraltro neppure un insulto personale. Al contrario, suona indubbiamente offensivo, ad esempio, l'invito rivolto ai giudici, pubblicamente ed in loro presenza, ad un corretto esercizio della professione, così integrando tale condotta il delitto di oltraggio a magistrato in udienza (Cass., Sez. VI, Sentenza n. 2253, del 29.09.2005). Il magistrato deve considerarsi, peraltro, in udienza tutte le volte in cui, in una qualsiasi fase processuale, amministri la giustizia con l'intervento delle parti; ritenendosi, dunque, udienza qualsiasi seduta nella quale si svolge l'attività giudiziaria del magistrato (Cass., Sez. VI, Sentenza n. 54566, 11.2019-11.2.2020).

Si precisa, altresì, che ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio ad un magistrato in udienza, rientrano nell'ambito del legittimo esercizio del diritto di critica solo le espressioni o gli apprezzamenti che investono la legittimità o l'opportunità del provvedimento in sé considerato, non invece quelli rivolti alla persona del magistrato (Cass., Sez. VI, Sentenza n. 36648, del 7.05.2015). Non integrano, infatti, il reato di cui all'art. 343 c.p. le espressioni di critica ad un provvedimento del magistrato, laddove queste siano immediatamente percepibili come un giudizio che investe la legittimità a l'opportunità del provvedimento in sé considerato, e non la persona del magistrato in udienza: ciò in quanto il rispetto di cui tutti i pubblici funzionari devono essere circondati, non equivale a insindacabilità (Cass., Sez. VI, 4.11.1987; Cass., Sez. VI, Sentenza n. 20085 del 26.04.2011; Sez. V, Sentenza n. 31267 del 14/09/2020). Si sottolinea che la frase "io la denuncio" attribuita all'imputato rivolta al giudice la riferisce esclusivamente il teste C.M., parte offesa, mentre gli altri testi diretti della vicenda la escludono, cfr. teste Viviani che conferma che l'imputato ha detto solo "lei ha detto il falso". Tale circostanza induce a ritenere che, nonostante la certa cedibilità della persona offesa, questa possa aver connotato il ricordo dell'episodio in modo alterato dalla concitazione e dal fastidio provato al momento del fatto.

Nel caso in esame non risulta pertanto provato alcun tipo di oltraggio per le ragioni sopra evidenziate, non verificandosi, peraltro, alcuna interruzione di durata apprezzabile al fine di configurare il reato di cui all'art. 340 c.p. e pertanto alcun ostacolo alla prosecuzione delle udienze di esecuzione previste nella stessa giornata.

In ordine al reato di cui all'art. 340 c.p. occorre, infatti, precisare in via preliminare che il bene giuridico tutelato dalla disposizione in esame viene rinvenuto nel buon andamento della pubblica amministrazione, in relazione alla continuità e regolarità della prestazione di servizi pubblici e di pubblica necessità.

Si osserva, in primo luogo, che tale reato non è configurabile qualora la condotta non sia idonea a determinare l'interruzione dell'ufficio né a turbare la regolarità di esso in maniera apprezzabile: tali sono le semplici intemperanze verbali di chi assiste ad una pubblica udienza dibattimentale, quando esse non superino determinati limiti e siano agevolmente controllabili ad opera di chi abbia la direzione del dibattimento, trattandosi di condotte rientranti nella fisiologica prevedibilità delle tensioni umane connesse alla celebrazione del processo e con le quali quest'ultimo deve convivere (Cass., Sez. VI, Sentenza n. 8725, del 19.04.2000). L'evento che la condotta prevista dalla norma deve cagionare viene descritto in termini di interruzione o turbamento: se da un canto, l'interruzione deve essere tale da turbare la regolarità dell'ufficio o del servizio, dall'altro canto la turbativa si realizza anche con un'interruzione, purché di entità e durata tale da determinarla. Nel caso in esame, dalle deposizioni testimoniali della persona offesa e delle forze dell'ordine risulta che l'interruzione si sia verificata per un lasso di tempo non apprezzabile in modo da configurare l'interruzione di cui all'art. 340 c.p. nel senso sopra precisato. Dall'istruttoria dibattimentale è emerso non solo che l'interruzione riguardava una singola udienza ed il turbamento della regolarità della stessa senza che il comportamento dell'imputato incideva sulla regolarità complessiva dell'ufficio, ossia dello svolgimento delle altre udienze; ma altresì che quanto accaduto interrompeva l'udienza di esecuzione immobiliare nel senso che creava intralcio poiché l'udienza ritardava 10/15 minuti, e creava una situazione disagevole non essendo una cosa ordinaria, ossia quel battibecco era durato pochi minuti e dopo l'intervento dei Carabinieri, che provvedevano ad accompagnare fuori dall'aula l'imputato, le udienze ricominciavano.

In secondo luogo, occorre rilevare che, in occasione di udienze di esecuzione immobiliare in cui gli interessi dell'esecutato si assumono essere molto coinvolgenti per lo stesso, l'ordinamento appronta al giudice un valido strumentario al fine di fronteggiare le fisiologiche intemperanze delle parti private in udienza. La disposizione normativa in esame tutela, infatti, non solo l'effettivo funzionamento di un ufficio o di un servizio pubblico, ma anche il suo ordinato e regolare svolgimento (Cass. Sez. VI Sentenza n. 46461, del 30/10/2013: fattispecie in cui è stato ritenuto configurabile il reato nei confronti di un soggetto che, esponendo cartelloni di protesta contenenti espressioni negative sulla professionalità e la correttezza di un giudice di pace in occasione di dodici udienze da questo tenute e facendo ingresso nell'aula durante la celebrazione dei processi, aveva determinato più volte il magistrato a sospendere l'attività e a richiedere l'intervento della forza pubblica). Tra gli strumenti di cui il giudice si avvale rientra la potestà di ammonire a verbale la parte e, in extrema ratio, avvalarsi della Forza pubblica per sedare gli animi: se l'imputato, dopo essere stato ammonito persiste nel comportarsi in modo da impedire il regolare svolgimento dell'udienza, è allontanato dall'aula.

Il reato di cui all'art. 340 c.p. non risulta, peraltro, integrato dalle semplici intemperanze verbali di chi assiste ad una pubblica udienza, quando non superino determinati limiti e siano quindi agevolmente controllabili da chi ha la direzione del dibattimento, trattandosi in tale ipotesi di condotte rientranti nella fisiologica prevedibilità delle tensioni umane connesse alla celebrazione del processo e con le quali quest'ultimo deve convivere, spettando a chi gestisce l'udienza l'assunzione delle concrete iniziative del caso (Cass., Sez. VI, Sentenza n. 8725, del 19.04.2000: fattispecie nella quale nel corso di un dibattimento a fronte di un soggetto che aggrediva verbalmente un teste, all'esito della deposizione di quest'ultimo, il pretore esercitava i normali poteri di disciplina dell'udienza a norma dell'art. 470 c.p.p.).

La formula assolutoria si assume, pertanto, essere quella prevista dal comma 1 dell'art. 530 c.p.p. perché il fatto non sussiste, difettando la sussistenza dell'elemento oggettivo dei reati contestati.

Il termine per il deposito delle motivazioni si fissa in 90 giorni, considerato l'impegno del giudicante contestualmente occupato nella funzione di Giudice dibattimentale e in quella di Giudice presso il Tribunale delle Libertà e il complessivo carico giurisdizionale dell'Ufficio, oltre al numero di udienze pubblicate in data odierna.

[Provvedimento redatto con la collaborazione della dott.ssa Alessia Alessi, tirocinante ex art. 73 dl. 69/2013, convertito con la legge 98/2013]


P.Q.M.


Visti gli artt. 530 c.p.p.,

assolve F.P. dei reati a lui ascritti perché i fatti non sussistono.

Motivazione in giorni 90.

Trento, 22 giugno 2021

Il Giudice

Dott.ssa Elena Farhat


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