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Avv. Stefano Paloschi

Carcere Romeno non idoneo a salvaguardare il rischio salute per individuo affetto da leucemia.

Aggiornamento: 9 ago 2019

La sentenza della Corte d'Appello di Brescia respinge una richiesta di consegna tramite M.A.E. di un cittadino italiano, ai sensi della lett. R dell'art. 18 della legge 69/2005; in parte motiva, forse superfetando le argomentazioni necessarie nel caso concreto, la Corte si sofferma sulle condizioni che rendono applicabile l'istituto anche al cittadino comunitario stabilmente residente e radicato sul territorio nazionale.

Oltre a ciò, la decisione evidenzia come la documentazione fornita dall'autorità romena non sia idonea ad escludere la sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano e degradante in ordine al regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna.

Seppure la decisione sia calibrata su un soggetto in condizioni particolari (affetto da grave patologia le cui cure comportano immunodepressione), la documentazione offerta dall'organo collaterale romeno viene ritenuta non idonea ad escludere il rischio di trattamento detentivo inumano e degradante in quanto dalla stessa "neppure risulta con certezza l'Istituto penitenziario ove il prevenuto dovrebbe scontare la pena [...]; non emerge se le celle sono o meno riscaldate, e con certezza manca l'acqua calda tranne due ore a settimana. Neppure è dato sapere con certezza se, dopo avere scontato un quinto della pena, il detenuto potrebbe essere ammesso al regime semiaperto o aperto; caso in cui peraltro non vengono indicate le dimensioni delle celle".



Altro aspetto di rilievo è l'applicazione dell'indulto ex l. 241/06 già in sede di sentenza di rigetto della consegna: la Corte d'Appello bresciana, seguendo un proprio orientamento confermato dalla Suprema Corte (Cass. sez. 6, 19/3/2010 n. 13480), nel respingere il m.a.e. ai sensi della lett. R dell'art. 18 l. 69/05 ha contestualmente riconosciuto la sentenza straniera disponendone l'esecuzione in Italia secondo le norme del diritto interno ed ha conseguentemente applicato l'indulto ai sensi della legge 241/06.


 

N. 5/2019 Mod. 6



CORTE D'APPELLO DI BRESCIA

Sezione Prima Penale

La Corte d'Appello di Brescia, Prima Sezione Penale, nelle persone dei sottoscritti magistrati

Dott. Enrico Fischetti Presidente

Dott. Silvia Cavallari Consigliere

Dott. Eliana Genovese Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente


SENTENZA (con motivazione contestuale ai sensi dell'art. 17 legge 22 aprile 2005 n. 69)

Nel procedimento promosso a seguito di mandato di arresto europeo emesso dalla Autorità Giudiziaria della Romania nei confronti di C.A. nato a M. il 23 giugno 1974

In fatto e diritto

C.A. è stato arrestato in data 18 gennaio 2019 dalla Questura di Bergamo in relazione al mandato di arresto europeo datato 18/12/2018 da parte della Autorità Giudiziaria rumena, inserito nel sistema SIRENE in data 17/1/2019 per i reati di concorso in evasione, frode e riciclaggio commessi in Romania tra il maggio 2003 e il dicembre 2005 per i quali il C. è stato condannato con decisione della Corte d'Appello di Cluj definitiva del 6/12/2018 alla pena di anni 5 mesi 6 di reclusione;

L'arresto è stato convalidato in data 19 gennaio 2019 dal Consigliere delegato di questa Corte all'esito di audizione di C.A. che non ha prestato consenso alla consegna.

Non è stata applicata allo stesso alcuna misura cautelare, essendo il C. cittadino italiano radicato sul territorio e dunque potendo profilarsi la sussistenza dell'ipotesi di cui all'art. 18 lett. R) L. 69/2005;

All'udienza del 14 marzo 2019 il procedimento veniva rinviato per acquisire le documentazione richiesta dalla legge, tempestivamente pervenuta.

All'odierna udienza camerale il Procuratore Generale ha chiesto accogliersi la richiesta di consegna.

Tanto premesso, la Corte osserva quanto segue.

Come è noto, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 227/2010 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 18 lett. r) della L. 69/2005, attuativa della decisione quadro istitutiva del MAE, nella parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell'esecuzione della pena detentiva in Italia, conformemente al diritto interno.

La Corte, nel valutare la questione, aveva modo di richiamare due sentenze della Corte di Giustizia, le cui decisioni vincolano il giudice nazionale all'interpretazione da essa fornita, sia in sede di rinvio pregiudiziale che in sede di procedura di infrazione ( v. sent. N. 168/91, 389/89, 113/85).

In tali pronunzie la Corte di Giustizia aveva affrontato il tema del rifiuto di consegna oggetto dell'art. 4 punto 6 della decisione quadro, evidenziando come tale atto normativo miri ad accordare una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata, una volta scontata la pena cui è stata condannata.

Del resto, questo - favorire il reinserimento sociale della persona condannata - è proprio uno degli obiettivi del sistema di cooperazione giudiziaria in materia penale, fondato sul principio del reciproco riconoscimento enunciato dal Consiglio europeo di Tampere del 1999.

La Corte Costituzionale, facendo propri tali principi ed obiettivi, riteneva che "ilcriterio per individuare il contesto sociale, familiare, lavorativo ed altro, nel quale si rivela più facile e naturale la risocializzazione del condannato non è tanto e solo la cittadinanza ma la residenza stabile, il luogo principale degli interessi, dei legali familiari, della formazione dei figli e di quant'altro sia idoneo a rivelare la sussistenza di quel "radicamento reale e non estemporaneo dello straniero in Italia".

Pertanto, con una pronunzia di tipo additivo, la Corte riteneva fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 lett. R L. 69/05 nella parte in cui non prevedeva la possibilità di rifiuto alla consegna anche per il cittadino di un altro Paese membro dell'UE che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano.

La Corte poi precisava ulteriormente che le nozioni di residenza e dimora utilizzate dalla legge quadro costituiscono nozioni comunitarie che richiedono una interpretazione autonoma ed uniforme, in ragione della esigenza e della finalità di applicazione uniforme che è alla base della decisione quadro.

A questo proposito rimarcava come la stessa Corte di Giustizia, nella nota sentenza Kovlowsky, aveva fornito la sua interpretazione al giudice nazionale, identificando la nozione di dimora con un soggiorno stabile, di una certa durata in quello Stato, che consenta di acquisire con tale Stato legami di intensità pari a quelli che si instaurano in caso di residenza.

Pertanto il giudice nazionale, sempre secondo il giudice comunitario, deve procedere ad una valutazione complessiva degli elementi oggettivi che connotano la situazione del ricercato, come la durata, la natura e le modalità del suo soggiorno e i legami familiari ed economici che ha stabilito nello Stato di esecuzione.

La Corte di Cassazione, successivamente alla sentenza additiva n. 227/2010 del Giudice delle Leggi, ha elaborato un orientamento che, sulla scia delle sentenze citate, ha in sostanza approfondito ulteriormente il concetto di residenza e di dimora secondo un criterio "sostanzialistico" che è giunto a parificare le due nozioni sul piano pratico, anche secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia.

Si è così affermato che "la nozione di residenza presuppone l'esistenza di un radicamento non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest'ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, la fissazione in Italia della sede principale e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi ( Cass, sez. 6, 25/11/2014, n. 50386).

In altra pronunzia, la Suprema Corte, aveva affermato che "da tali indici (indicati sopra) è possibile prescindere solo per il cittadino comunitario che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente in conseguenza di un soggiorno in Italia per un periodo ininterrotto di cinque anni, escludendo così la ricorrenza della condizione ostativa alla consegna per un cittadino rumeno privo di attività lavorativa e presente iItalia da un solo anno ( Cass, sez. 6, 9/412010, n. 14710).

Nel caso di specie dalle informazioni assunte anche tramite Pg è emerso che il C. vive in Italia e precisamente a M. ove risulta risiedere alla via XXXunitamente al proprio nucleo familiare, composto dalla moglie D.M.F.V., insegnante precaria con contratto a tempo determinato dai due figli minori di anni dieci.

Il C. attualmente non esplica alcuna attività lavorativa, a causa delle sue gravi condizioni di salute.

Infatti, dalla documentazione medica versata agli atti e datata 19/2/2018 si rileva che il C. è affetto da una forma di leucemia linfoblastica acuta, è stato avviato a chiemioterapia e in data 15/2/2018 è stato sottoposto a trapianto di midollo osseo. Nel documento medico proveniente dall'Ospedale di T. si legge anche che il C., a causa della malattia da cui è affetto deve condurre una condotta di vita riservata per la severa immunodepressione, legata alla malattia, al trapianto e alle chiemioterapie cui è stato sottoposto, e dunque sono sconsigliati spostamenti in Comunità che potrebbero mettere il paziente ad aumentato rischio infettivo.

Ora, trattandosi di soggetto italiano, e indubitabilmente radicato in Italia, tenuto conto che, oltre ad avere la sua residenza in M. da tempo è altresì coniugato con una cittadina italiana che lavora stabilmente, ha due figli minorenni ed è sottoposto a cure frequentissime qui in Italia a causa della grave patologia da cui è affetto, ritiene questa Corte che ricorra la condizione ostativa alla consegna di cui all'art. 18 lett. R L. 69/2005, come modificata a seguito della pronunzia della Corte Costituzionale n. 227/2010.

Oltre a tale elemento impeditivo alla consegna, si osserva che la documentazione offerta dalle Autorità rumene su richiesta di questa Corte in merito alle condizioni didetenzione non appare idonea.

Sotto questo specifico profilo si rammenta come la Suprema Corte ha più volte chiarito che, proprio in relazione alle condizioni carcerarie in Romania, è necessario accertare la sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano e degradante in ordine al regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna (Cass, sez. 6, 1/6/2016, rv. 267296).

Nel caso di specie, dalla documentazione inviata dalla Romania neppure risulta con certezza l'Istituto penitenziario ove il C. dovrebbe scontare la pena (probabilmente il carcere di Giurgiu); non emerge se le celle sono o meno riscaldate, e con certezza manca l'acqua calda tranne due ore a settimana.

Neppure è dato sapere con certezza se, dopo avere scontato un quinto della pena, il Carruggio potrebbe essere ammesso al regime semiaperto o aperto; caso in cui peraltro non vengono indicate le dimensioni delle celle.

Ora, pare a questa Corte che, in relazione alle specifiche condizioni di salute del Carruggio, soggetto immunodepresso per il quale è sconsigliata la permanenza in Comunità di persone che potrebbero determinare l'insorgere di malattie, sia evidente come la detenzione in un carcere privo di acqua calda, insieme ad altre persone, determini un forte aumento del rischio dell'insorgere di malattie.

Dunque non pare che le condizioni igienico-sanitarie della detenzione del Carruggio, per come prospettate dalle Autorità rumene, siano idonee in concreto a salvaguardare il consegnando dal rischio di contrarre malattie in considerazione del suo stato di immunodepressione, né che siano idonee a garantirgli adeguata assistenza tecnica.

Va poi osservato come i tre reati per i quali è chiesta la consegna sono stati commessi tra il 2003 e il dicembre 2005, e dunque il difensore del consegnando ha richiesto l'applicazione dell'indulto, astrattamente possibile secondo quello che è l'orientamento espresso dalla Suprema Corte (Cass. sez. 6, 19/3/2010 n. 13480).

Nel caso di specie il giudice rumeno ha considerato quale pena base quella di anni 4 mesi 6 di reclusione per il concorso nell'appropriazione indebita, aumentata per la continuazione per i restanti due reati (evasione e riciclaggio) ad anni 5 mesi 6 di reclusione.

Tuttavia nel nostro ordinamento il reato più grave deve essere considerato il riciclaggio, e la pena base deve essere riferita a detto reato, poi aumentata per la continuazione ad anni 5 mesi 6 di reclusione per i restanti due reati.

Ma l'art. 1 L. 241/2006 esclude l'applicabilità dell'indulto per il reato di riciclaggio di denaro, come nel caso in esame.

Pertanto, il beneficio dell'indulto si potrà applicare limitatamente alla pena di anni uno di reclusione, decurtata dalla pena relativa ai due reati di concorso in evasione fiscale e appropriazione indebita.

Va dunque proceduto al riconoscimento della sentenza di condanna dell'imputato emessa dalle Autorità rumene, dando atto della applicazione dell'indulto nella misura di anni uno di reclusione, e dunque il periodo di carcerazione sarà pari ad anni 4 mesi 4 di reclusione.

PQM

Vista la L. 22/4/2005 n. 69

Rifiuta, ai sensi dell'art. 18, lett. r) L. 69/2005, la consegna alla Romania di C.A., nato a M. il 23/6/1974, ivi residente alla via XXX

Riconosce contestualmente la sentenza n. 151 del 12/5/2017 dei Tribunale di Cluj, definitiva per mezzo della sentenza della Corte d'Appello di Cluj n. 1456/2018 che lo aveva condannato alla pena di anni 5 mesi 6 di reclusione, siccome giudicato responsabile dei delitti di complicità all'evasione fiscale, riciclaggio di denaro, complicità nell'appropriazione indebita, commessi in Romania dal 2003 al dicembre 2005.

Applica l'indulto di cui alla L. 241/2006 nella misura di anni uno.

DISPONE

che la pena inflitta con la predetta sentenza, limitatamente ad anni quattro mesi sei di reclusione, essendo la restante pena indultati, venga eseguita in Italia, dando atto che C.A. ha subito un giorno di privazione di libertà (18 gennaio 2019).

Ordina che la presente sentenza sia immediatamente comunicata, anche a mezzo fax, al Ministro della Giustizia perché provveda ad informare le competenti autorità della Romania, nonché al Servizio per la Cooperazione internazionale di Polizia presso il Ministero dell'interno.

Ordina altresì la comunicazione al Procuratore Generale della Repubblica per l'esecuzione ad intervenuta irrevocabilità.

Visto l'art. 686 comma 2 cpp, dispone l'iscrizione della presente sentenza di riconoscimento nel Casellario Giudiziale.

Brescia, 14 maggio 2019.

ll Presidente Dott. Enrico Fischetti


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