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  • Avv. Stefano Paloschi

Soglie di punibilità quali elementi costitutivi del reato, anche per l’indebita percezione

Il superamento della soglia di punibilità prevista per l’indebita percezione di erogazioni a danno dello stato (art. 316 ter c.p.) integra un elemento costitutivo del reato; rileva pertanto quanto conseguito con ogni singola condotta percettiva e non quanto conseguito complessivamente in diversi momenti.


Nel diritto penale il concetto di consumazione esprime la compiuta realizzazione di tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie criminosa: in altri termini, si è in presenza di un reato consumato tutte le volte in cui il fatto concreto corrisponde interamente al modello legale delineato dalla norma incriminatrice. Il giudizio in merito al perfezionamento della consumazione di un reato varia di caso in caso, in funzione della diversità degli elementi strutturali che compongono le varie fattispecie incriminatrici.

In alcuni casi, tuttavia, il legislatore subordina la punibilità del fatto alla presenza di particolari condizioni, che si aggiungono ai tipici elementi costitutivi essenziali del reato.

La disciplina codicistica di tali “condizioni obiettive di punibilità” si trova nell’art. 44 del codice penale: “Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto”.

Si tratta, secondo la dottrina maggioritaria di eventi estranei alla condotta illecita, a questa concomitanti o successivi (non anche “antecedenti”), ma che non sono necessariamente voluti dall'agente.

Da queste condizioni, ove la legge ne faccia riferimento, viene fatta dipendere la punibilità di un reato e dal momento del loro verificarsi decorre il termine prescrizionale (art. 158 comma 2 c.p.).

L’istituto delle condizioni obiettive di punibilità pare ricondursi alla scelta del legislatore di conciliare, in determinate e specifiche circostanze, esigenze contrapposte, mitigando la punizione “incondizionata” al fine di tutelare altri interessi meritevoli di considerazione.

Sono esempio di condizione obiettiva di punibilità la presenza del reo nel territorio dello Stato per la punibilità dei reati commessi all’estero (art. 9 e 10 c.p.), il pubblico scandalo nel delitto di incesto (art. 564 c.p.) e l'annullamento del matrimonio nell'induzione al matrimonio mediante inganno (art. 558 c.p.).


A differenza di quanto ritiene una pur autorevole dottrina (Fiandaca-Musco, Diritto penale – Parte generale, 2007, pag. 765) non costituisce una questione meramente dogmatica, priva di conseguenze pratiche, stabilire se un elemento sia da considerarsi costitutivo della fattispecie criminosa piuttosto che condizione obiettiva di punibilità.

Nel primo caso dovrà infatti formare oggetto dell’elemento soggettivo da parte dell’agente ed essere pertanto da questi previsto e voluto nel caso di reato doloso, ovvero essere conseguenza di negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, ordini o discipline nel caso di reato colposo. Viceversa il reato non potrà dirsi perfezionato.

Nel secondo caso, invece, l’elemento costituirà un quid aggiuntivo o supplementare rispetto ad una fattispecie già perfetta.





Nelle fattispecie che prevedono soglie di punibilità, ossia indicazioni di valore (monetario, ma non solo) al di sotto delle quali la condotta deve intendersi come penalmente indifferente, la principale dottrina (Antolisei, Manuale di diritto penale - Leggi complementari, Vol. II,. 2008) e la Giurisprudenza della Cassazione si è orientata a considerare le stesse quali elementi costitutivi del reato, in quanto il loro superamento è il diretto risultato dell’azione posta in essere e voluta dal soggetto attivo.

Così è stato ritenuto, ad esempio, per la contravvenzione di guida in stato d’ebrezza (Cassazione pen., Sez. VI, 29 gennaio 2009, n. 7305; Sez. VI, 6 novembre 2008, n. 241763), per i reati tributarî (Cassazione pen., SS.UU., 13 dicembre 2000, n. 35), ed anche per il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316 ter c.p., che al comma secondo indica il superamento della soglia di €. 3.999,96 quale discrimine tra la fattispecie penale e quella amministrativamente sanzionata (Cassazione pen., Sez. VI, 26 novembre 2019-27 febbraio 2020, n. 7963).


La conseguenza di tale impostazione è che il reato di indebita percezione debba intendersi integrato solo quando il superamento della soglia di punibilità riguarda la singola condotta percettiva, essendo irrilevante che il beneficiario consegua in momenti diversi contributi che, tra loro sommati, determinerebbero il superamento della soglia.


È quanto accaduto anche nel caso oggetto della pronuncia in commento, laddove gli imputati avrebbero, in ipotesi d’accusa, posto a conguaglio nei confronti dell’INPS importi asseritamente anticipati a lavoratrici loro dipendenti a titolo di indennità di maternità obbligatoria e facoltativa nonché a titolo di assegni familiari, compensando detti importi con quelli dovuti allo stesso ente a titolo di contributi previdenziali ed assistenziali.

Solo la somma complessiva delle percezioni permetteva di ritenere superata la soglia di punibilità indicata dalla norma, mentre ognuna delle singole percezioni si attesta ben al di sotto di detto valore.

Ne consegue giocoforza la pronuncia liberatoria per gli imputati.


 

n. 3952/20 R.G.Mod.20

n. 18167/17 R.G.N.R.


Sentenza n. 1170/20

Del 19/11/2020

depositata il 25/11/2020


CABI Est. I


REPUBBLICA ITALIANA

in nome del Popolo Italiano

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA

Sezione indagini preliminari e udienza preliminare

dott. Carlo Amedeo Bianchetti


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Ex art. 425 c.p.p.



nella causa penale a carico di:


A.N., nato a Brescia il 6/10/1956, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Valeriano COLTRO del foro di Brescia.

Difeso di fiducia dall'avvocato Valeriano COLTRO del foro di Brescia


B.V., nato a Iseo il 30/08/1961, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Luca ZUPPELLI del foro di Brescia.

Difeso di fiducia dall'avvocato Luca ZUPPELLI del foro di Brescia


K.A., nato in India il 15/10/1990, con domicilio dichiarato in Castenedolo (BS), Via Tenente L. Oliari n. 11.

Difesa di ufficio dall'avvocato Stefano PALOSCHI del foro di Brescia


LIBERI - ASSENTI


IMPUTATI


A.N. e B.V.

CAPO 1:


per il reato p. e p. dagli arti. 110, 81 cpv, 316 ter. c.p. perché, in concorso tra loro e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, A.N. nella qualità di titolare/legale rappresentante e B.V. nella qualità di consulente del lavoro della ditta E** A**I DI A.N., nei modelli DM10 trasmessi all'INPS indicavano quale credito nei confronti dell'ente importi asseritamente anticipati alle lavoratrici a titolo di indennità di maternità obbligatoria e facoltativa, nonché a titolo di assegni al nucleo familiare, conseguendo il vantaggio derivante dalla compensazione di detti importi con i contributi previdenziali ed assistenziali dovuti all'INPS di Brescia; vantaggio che risultava indebito atteso che le predette indennità di maternità obbligatoria e facoltativa e i predetti assegni al nucleo familiare venivano corrisposti alle lavoratrici direttamente dall'INPS e non dal datore di lavoro.

Nello specifico:

1) con riguardo alla lavoratrice K.A., conguagliavano indebitamente l'importo complessivo di euro 2.218,12 relativo all'indennità obbligatoria di maternità per i mesi di febbraio 2014, agosto 2014 e all'indennità facoltativa per i mesi di febbraio 2015 e ottobre 2015;

2) con riguardo alla lavoratrice S.N., conguagliavano indebitamente l'importo complessivo di euro 1.885,85 relativo all'indennità di maternità obbligatoria per i mesi di marzo 2014, agosto 2014, all'indennità di maternità facoltativa per i mesi di maggio 2015, agli assegni al nucleo familiare per i mesi di marzo 2014, aprile 2014, maggio 2014, giugno 2014, luglio 2014, agosto 2014, settembre 2014, ottobre 2014, novembre 2014, dicembre 2014, gennaio 2015, febbraio 2015, marzo 2015, aprile 2015, novembre 2015, dicembre 2015;

3) con riguardo alla lavoratrice K.M., conguagliavano indebitamente l'importo di euro 550,80, relativo all'indennità di maternità obbligatoria per il mese di agosto 2014;

4) con riguardo alla lavoratrice A.S., conguagliavano indebitamente l'importo di euro 1344,00 relativo all'indennità di maternità obbligatoria per il mese di maggio 2016.

Commesso a Brescia dal marzo 2014 al giugno 2016.


A.N., B.V. e K.A.

CAPO 2:


per il reato previsto e punito dagli artt. 81, 110 e art.640 bis c.p. perché in concorso tra loro, A.N. e B.V. nelle qualità di cui al capo di imputazione n.1) e in esecuzione del medesimo disegno criminoso dei reati di cui al predetto capo, K.A. quale dipendente della ditta E** A**I, con artifizi e raggiri consistiti nell'instaurare un rapporto di lavoro fittizio e nell'esporre sul modello DM10 l'importo di 1.835,60 a titolo di maternità obbligatoria a carico INPS, conseguivano l'indebito vantaggio derivante dal conguaglio del predetto importo con i contributi previdenziali dovuti dal datare di lavoro all'INPS, con pari danno per l'ente che corrispondeva importi non dovuti.

Commesso a Brescia dal 30.12.2016.


CONCLUSIONI

Il PM insiste nella richiesta di rinvio a giudizio di tutti gli imputati.

Le difese degli imputati chiedono sentenza di non luogo a procedere.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


A seguito di una segnalazione dell'Ispettorato del Lavoro di Brescia A.N., B.V. e K.A. venivano iscritti nel registro degli indagati in relazione al reato di cui all'art. 316 ter c.p., per avere, in concorso tra loro, nella loro rispettiva qualità di legale rappresentante della impresa individuale E** A**I di A.N., di consulente del lavoro e di dipendente della impresa E** A**I, mediante la indicazione di crediti inesistenti, conseguito l'indebito vantaggio derivante dalla compensazione di importi dovuti a titolo di contributi previdenziali e assistenziali.

Il P.M. bresciano, senza svolgere alcuna attività istruttoria, chiedeva il rinvio a giudizio dei predetti soggetti nelle forme ordinarie.

All'udienza preliminare si procedeva alla discussione, all'esito della quale le parti concludevano come sopra trascritto all'udienza del 19 novembre 2020.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Osserva il primis il giudicante come, dalla semplice lettura dei capi di imputazione, le condotte ascritte agli odierni imputati si appalesino come penalmente irrilevanti.

Ed infatti, se è vero che integra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, ai sensi dell'art. 316 ter c.p., la condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di avere corrisposto somme a titolo di indennità per maternità, ottenga dall'I.N.P.S. il conguaglio di tali somme con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e/o assistenziali, cosi percependo dal lo stesso istituto, in forma di risparmio di spesa, le corrispondenti erogazioni (come ritiene il più recente orientamento della Giurisprudenza di legittimità — cfr., da ultimo, Cass. Pen., Sez. VI, n. 7963 del 26 novembre 2019 — dep. 27 febbraio 2020), è parimenti vero che il superamento della soglia di punibilità indicata dal secondo comma dell'art. 316 ter c.p. integra un elemento costituito del reato e non una condizione obiettiva di punibilità, sicché è irrilevante che il beneficiario consegua in momenti diversi contributi che, sommati tra loro, determinerebbero il superamento della soglia, in quanto rileva il solo conseguimento della somma corrispondente ad ogni singola condotta percettiva (cfr., da ultimo, Cass. Pen., Sez. VI, n. 7963 del 26 novembre 2019 — dep. 27 febbraio 2020; cfr. anche da ultimo, Cass. Pen., Sez. VI, n. 24890 del 20 febbraio 2019 — dep. 4 giugno 2019); con la conseguenza che, qualora, come nel caso che ci occupa, le singole percezioni siano inferiori alla soglia di punibilità, le condotte integrano un mero illecito amministrativo.

Da tutte le considerazioni consegue la declaratoria di non luogo a procedere nei confronti di tutti gli imputati, in relazione alle imputazioni loro ascritte, perché il fatto non costituisce reato.


P.Q.M.


visto l'art. 425 c.p.p.;


DICHIARA


non luogo a procedere nei confronti di A.N., B.V. e K.A., in ordine alle imputazioni loro rispettivamente ascritte, perché il fatto non costituisce reato.


Cosi deciso in Brescia, nella Camera di consiglio del 19 novembre 2020


IL GIUDICE

Carlo Bianchetti


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