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Misure cautelari e principio della domanda: vincoli per G.I.P. che la vedono peggio del P.M.

Aggiornamento: 29 nov 2019

La fase delle indagini preliminari è caratterizzata da una non piena cognitio da parte del Giudice preposto (denominato appunto: "per le Indagini Preliminari"), le cui decisioni devono in ottica generale conformarsi al "principio della domanda" indicato dall'art. 328, comma 1, c.p.p.

Posto che l'art. 291 c.p.p. stabilisce che "le misure sono disposte su richiesta del p.m.", ne consegue che ogni qualvolta l'organo dell'accusa domandi l'applicazione di una precisa cautela, al giudice per le indagini preliminari è precluso disporre una misura cautelare più grave di quella richiesta: ove ciò si verificasse, si configurerebbe una nullità assoluta ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. b), c.p.p.

Il principio, consolidato, è costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite (22.01.09, n. 8388).

Si è in presenza di una applicazione rigorosa (ed ineccepibile) del principio devolutivo, tale per cui il petitum cautelare del pubblico ministero assume carattere vincolante per il giudice; il quale, nella scelta delle misure operata basandosi sui criterî dettati dall'art. 275, potrà applicare una misura leviore, ma mai peggiorativa rispetto a quella domandata.


Conseguenza di tale indiscusso principio è che laddove il giudice per le indagini preliminari ritenesse che il presidio individuato e richiesto dal pubblico ministero fosse troppo blando al fine di salvaguardare le esigenze di cautela, sarebbe comunque tenuto ad applicare la misura richiesta, non potendo andare oltre la domanda cautelare e non potendo, per converso, denegare i bisogni special preventivi che abbia stimato sussistenti; qualora invece rigettasse la domanda del pubblico ministero sulla ritenuta necessità di una maggior limitazione della libertà personale, il giudice non darebbe risposta adeguata alle esigenze cautelari: un simile provvedimento deve essere contestato dal pubblico ministero facendo ricorso agli ordinarî mezzi di impugnazione e non ripropondendo la domanda cautelare in termini conformi ai desiderata del g.i.p., così avallando un vizio di ultrapetizione nonché violando il proncipio di tassatività delle impugnazioni avverso i provvedimenti cautelari.

La mancata proposizione di adeguata impugnazione da parte del pubblico ministero (mediante appello ex art. 310 c.p.p.) dell'ordinanza reiettiva di richiesta di applicazione di misura determina giudicato cautelare ed esaurisce il potere di richiesta del pubblico ministero con riferimento a tutte le questioni già dedotte, esplicitamente ed implicitamente (ossia necessariamente presupposte, su un piano logico, dalle prime; cfr. SS.UU. 08.07.1994, n. 11): la reiterazione della stessa viola il principio del ne bis in idem laddove non sia fondata su nuovi elementi di prova a carico dell'indagato, e l'eventuale ordinanza del g.i.p. che dovesse irrogare la misura sarebbe nulla.





Il principio risulta consolidato in giurisprudenza di legittimità (Sez. I, 30.04.2019, n. 40132; Sez. V, 09.02.2011, n. 13083; sez. V, 13.10.09, n. 43068; sez. VI, 25.10.02, n. 5374) e di merito anche bresciana; si segnala l'ordinanza del Tribunale di Brescia, III Sezione R.G. Mod. 17 n. 623/13 del 26.11.2013, oltre a quella in commento, che peraltro rileva la "singolarità di un provvedimento di rigetto fondato non già sulla mancanza o inidoneità dei requisiti e dei presupposti fondanti una misura cautelare, bensì sulla ritenuta inadeguatezza, per difetto, del presidio di prevenzione individuato dalla Pubblica Accusa. Ed invero, tale procedura ha l'effetto concreto di rendere vano il sistema delle impugnazioni e, viepiù, di violare il principio della domanda cautelare, siccome idoneo a superare le determinazioni formulate in prima istanza dal P.M. e successivamente modificate senza ulteriori e diverse allegazioni".



 

N. 509 (+512 e 517)/19 Mod. 17

N. 4779/18 RG NR

N. 15443/18 RG Gip


REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA Terza Sezione Penale e del Riesame


Il Tribunale, riunito in Camera di Consiglio in funzione di Giudice del Riesame, nella persona dei magistrati


Dott. Giovanni PAGLIUCA Presidente

Dott. Cesare BONAMARTINI Giudice

Dott. Marina COLABRARO Giudice Relatore


ha pronunciato la seguente


ORDINANZA


Sulle istanze di riesame presentate il 4, 5 e 7 ottobre 2019 nell'interesse di L.R., S.M. e M.P. avverso l'ordinanza emessa dal Gip di Brescia in data 6.5.2019 (e successiva integrazione del 18.7.2019) ed eseguita il 26.9.2019 con la quale veniva applicata la misura cautelare della custodia in carcere;

Premesso che gli atti sono pervenuti a questo Ufficio in data 7.10.2019; sciogliendo la riserva formulata all'udienza camerale del 15.10.2019,


OSSERVA


Con ordinanza emessa in data 6 maggio 2019 - integrata il 18.7.2019 con riguardo a L. e S. - il G.I.P. presso il Tribunale di Brescia disponeva la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti - tra gli altri - di L.R., S.M. e M.P. in relazione al reato di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie di reati fiscali (capo 1), oltre che alle violazioni tributarie di cui all'art. 8 d.lvo 74/00 (capi 13 e 15). Segnatamente, la prospettazione accusatoria delinea un'organizzazione criminale finalizzata all'emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, nell'ambito della quale gli odierni ricorrenti avevano il compito di fare da intermediari tra i fornitori occulti della merce e le società destinatarie cui consegnavano il denaro contante, ai primi quale prezzo della

prestazione, alle seconde quale differenza tra il costo maggiorato indicato in fattura e quello minore realmente sostenuto.

Il Giudice di prime cure evidenziava, nel corpo del provvedimento impositivo della misura, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine a tutti gli illeciti sopra indicati, desumendoli dalle risultanze della puntuale attività di intercettazione telefonica ed ambientale, nonché dalla documentazione contabile e finanziaria relativa alle società coinvolte e dagli esiti dei sequestri di denaro contante operati nel corso dell'indagine.

Al contempo, metteva in rilievo la sussistenza di pregnanti ed attuali esigenze cautelari, connesse al concreto ed attuale pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, evidenziando la perdurante attività del sodalizio criminoso, le sofisticate modalità organizzative predisposte per la commissione dei reati e distinguendo le posizioni di ciascun agente a seconda del ruolo ricoperto nel gruppo e della rilevanza del contributo fornito a vantaggio del sistema fraudolento.

In punto di adeguatezza della misura cautelare, accoglieva la richiesta di applicazione della custodia in carcere formulata dal P.M. per M.P.; quanto a L. e S., il Gip rilevava l'insufficienza della invocata misura domiciliare a tutelare le intense esigenze di cautela e, pertanto, rigettava la domanda cautelare (cfr. ordinanza del 6.5.2019).

Il 16.7.2019 il P.M. avanzava richiesta cautelare integrativa con la quale, preso atto del recente rigetto del Gip ed espressamente richiamate per relationem le considerazioni già formulate con la prima domanda cautelare, instava per l'applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di entrambi gli indagati.

Il Gip, con l'ordinanza integrativa del 16.7.2019, accogliendo la richiesta integrativa della Pubblica Accusa, applicava a L. e S. la misura massima, richiamate a sua volta le valutazioni espresse con la precedente ordinanza di rigetto in punto di gravità indiziaria ed esigenze cautelari.

In sede di interrogatorio di garanzia L. e M. si avvalevano della facoltà di non rispondere; S. ammetteva parzialmente gli addebiti, riferendo di aver messo in contatto la società P. Srl' - che aveva bisogno di annotare false fatture per abbattere i costi - e Trombetta, ricevendo 100.000 euro da quest'ultimo quale compenso per l'intermediazione.

Il 4.8.2019 il Gip sostituiva la misura carceraria applicata a M.P. con quella degli arresti domiciliari, rilevando l'incompatibilità delle relative condizioni di salute con il regime carcerario.

Avverso l'ordinanza genetica - e successiva integrazione - i ricorrenti proponevano tempestiva richiesta di riesame con riserva dei motivi.

All'udienza di trattazione del gravame, il P.M. esponeva le risultanze investigative e chiedeva la conferma dell'ordinanza impugnata.

I difensori di L. e S. depositavano memorie illustrative delle proprie doglianze con cui, per S., lamentavano l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, per L. assumevano il difetto di un concreto ed attuale pericolo di recidiva; in subordine chiedevano la gradazione del regime cautelare con applicazione di misure meno afflittive.

Nel corso della discussione, i difensori di M. chiedevano l'annullamento dell'ordinanza cautelare per difetto di gravità indiziaria e di esigenze cautelari, instando in via subordinata per la sostituzione della misura carceraria con altra meno afflittiva; i difensori di L. e S. eccepivano altresì la nullità dell'ordinanza impugnata siccome emessa in accoglimento di una richiesta cautelare da considerarsi mera reiterazione della precedente, già formulata nei medesimi termini e rigettata.

***

I ricorsi possono essere accolti nei termini di seguito esposti.

Preliminarmente il Collegio rileva la fondatezza dell'eccezione preliminare sollevata dalle difese di L. e S. con riguardo all'ordinanza integrativa con cui era disposta nei confronti degli indagati la misura cautelare in essere.

Il 29.11.2018 il P.M. chiedeva al Gip l'applicazione nei confronti di L. e S. della misura cautelare degli arresti domiciliari; con l'ordinanza del 6.5.2019 il Gip, ravvisata la gravità indiziaria e il pericolo di recidiva in relazione ad entrambi gli indagati, rigettava la richiesta ritenendo insufficiente per difetto la detenzione domiciliare a presidiare le intense esigenze di cautela.

A fronte di tale decisione di rigetto il P.M., anziché impugnare il provvedimento di diniego con la procedura di cui all'art. 310 c.p.p. (nell'ambito della quale, peraltro, non avrebbe potuto chiedere ed ottenere un presidio cautelare più grave di quello domandato al giudice di prime cure), avanzava una nuova richiesta cautelare allineandosi, in punto di scelta della misura, alle considerazioni del Gip e invocando pertanto l'applicazione della misura carceraria.

Senonché, tale seconda richiesta richiama espressamente la precedente, senza aggiungere alcun elemento di novità rispetto al portato investigativo e cautelare già sottoposto al vaglio del Gip con la domanda primigenia, se non con riguardo alla tipologia della misura cautelare invocata, la cui modifica (peraltro in peius), tuttavia, non trova supporto in fattori di innovazione rispetto alla precedente domanda quanto ad adeguatezza e proporzionalità, fattori in ipotesi idonei a giustificare una diversa determinazione dell'organo dell'accusa.

A fronte della reiterazione della medesima richiesta, il Gip ha applicato a L. e S. la custodia cautelare in carcere, anch'egli richiamandosi alla precedente ordinanza senza alcuna ulteriore e diversa valutazione.

Ebbene, ritiene il Collegio che tale procedura si ponga in sostanziale contrasto con il principio del giudicato cautelare e con il sistema delle impugnazioni tassative previsto dal nostro ordinamento, avendo di fatto l'effetto di determinare una riforma del precedente provvedimento da parte del medesimo giudice, ma senza un mutamento - neppure prospettato - dei presupposti applicativi della cautela.

La Suprema Corte ha più volte avuto modo di precisare che 'L'omessa impugnazione dell'ordinanza reiettiva della richiesta di applicazione di una misura restrittiva dà luogo alla formazione del giudicato cautelare, che preclude la reiterazione della richiesta laddove la stessa non sia fondata su elementi nuovi, stante il principio di tassatività delle procedure esperìbili in materia cautelare che limita i rimedi praticabili ai mezzi di impugnazione previsti dalla legge.' (Cfr. ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 13083 del 09/02/2011).

Ebbene, valuta il Collegio che tale postulato ermeneutico sia applicabile anche al caso di specie, caratterizzato dalla singolarità di un provvedimento di rigetto fondato non già sulla mancanza o inidoneità dei requisiti e dei presupposti fondanti una misura cautelare, bensì sulla ritenuta inadeguatezza, per difetto, del presidio di prevenzione individuato dalla Pubblica Accusa.

Ed invero, tale procedura ha l'effetto concreto di rendere vano il sistema delle impugnazioni e, viepiù, di violare il principio della domanda cautelare, siccome idoneo a superare le determinazioni formulate in prima istanza dal P.M. e successivamente modificate senza ulteriori e diverse allegazioni.

Con la richiesta cautelare il P.M. esercita, ed esaurisce - salvo l'intervento di fattori innovativi -, il potere di scelta della misura cautelare, per come ritenuta commisurata ed adeguata alle esigenze del caso di specie; specularmente, il giudice della cautela è investito di una discrezionalità vincolata che deve essere esercitata allorché ne risultino integrati i presupposti di cui agli artt. 273 e 274 c.p.p..

Il Gip che ritenesse il presidio così individuato troppo blando sarebbe comunque tenuto ad applicare la misura richiesta, non potendo andare oltre la domanda cautelare e non potendo, di converso, denegare i bisogni special preventivi che abbia stimato sussistenti addirittura in elevato grado.

Il rigetto della richiesta fondato sulla ritenuta necessità di una maggiore limitazione della libertà personale non dà risposta alle esigenze cautelari, pur ritenute sussistenti, e pertanto può e deve essere contestato dal P.M. con gli ordinari mezzi di impugnazione.

La riproposizione della domanda nei termini ritenuti dal Gip, senza diverse allegazioni e deduzioni, avalla di fatto un vizio di ultrapetizione e viola il sistema di tassatività delle impugnazioni avverso i provvedimenti penali cautelari.

Pertanto, alla luce di tali considerazioni, l'eccezione formulata dalla difese di L. e S. deve ritenersi fondata, con conseguente annullamento nei loro confronti del provvedimento applicativo di misura cautelare.

Venendo alla posizione di M.P., giova preliminarmente inquadrare la relativa posizione nell'ambito della complessiva vicenda associativa di rilievo.

L'odierna procedura trae origine da un'articolata indagine svolta dal Nucleo della polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Brescia che consentiva di disvelare l'operatività di un sodalizio criminale stabilmente dedito all'emissione di fatture per operazioni inesistenti a vantaggio di società utilizzatrici intranee al gruppo criminale (cfr. annotazione riassuntiva del 3.10.2018 e annotazione integrativa del 19.10.2018).

Il meccanismo fraudolento ipotizzato dalla pubblica accusa consisteva nella predisposizione di società del tutto inattive (in quanto prive di mezzi e risorse) - cd. cartiere, prevalentemente estere - destinate ad operare esclusivamente mediante l'emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti a vantaggio delle c.d. società filtro le quali, a loro volta, confezionavano fatture per operazioni soggettivamente inesistenti a favore delle società destinatarie della merce, in realtà venduta da fornitori in nero.

In sostanza, le società filtro - anch'esse non operative - si frapponevano cartolarmente negli scambi ricevendo il prezzo delle cessioni dalle società committenti - corrisposto sempre secondo modalità tracciabili -, per poi versarlo alle società cartiere sotto forma di pagamento di ulteriori false fatture, emesse all'esclusivo scopo di giustificare l'operatività delle società 'buffer' e consentire il trasferimento del denaro all'estero su conti destinati ad essere rapidamente svuotati dagli indagati mediante periodici prelievi in denaro contante.

Secondo l'impianto accusatorio condiviso dal Gip il disegno criminoso volto a frodare l'erario si realizzava attraverso la restituzione alle committenti di parte del denaro bonificato in favore delle società filtro - e prelevato all'estero -, restituzione che prevedeva la decurtazione del reale costo della merce (consegnato direttamente dai sodali ai fornitori sommersi in denaro contante), nonché di una percentuale trattenuta dal dominus della frode (T.D.J.) a titolo di compenso per l'emissione delle false fatture.

Tale schema, oltre a garantire ingenti introiti agli effettivi gestori delle cartiere (che si aggira verosimilmente intorno al 6-8% dell'importo indicato in fattura, cfr. conversazione tra presenti n. 2617 del 13 aprile 2018 in cui T. descrive al figlio N. lo schema del meccanismo truffaldino da lui posto in essere e i relativi profitti: 'ho a casa 500.000 euro in contanti'... 'e quanti di quelli sono tuoi ?' ... '30-40.000), consentiva alle società acquirenti del materiale ferroso di ottenere un indebito abbattimento della base imponibile mediante l'iscrizione in bilancio di costi più alti di quelli effettivamente sostenuti (pari al delta tra l'importo iscritto in fattura e quello realmente sostenuto, al netto delle retrocessioni - c.d. sovrafatturazione -, con conseguente indebito risparmio d'imposta (Ires)); al contempo i reali fornitori si avvantaggiavano di compensi mai dichiarati.

La triangolazione tra i destinatari delle merci, le società cartiere, le società filtro e i reali fornitori realizzava pertanto un'interposizione fittizia rilevante a norma degli artt. 2 e 8 d.lvo 74/00.

Nell'ambito dello schema delittuoso sopra descritto gravitavano numerosi soggetti fondatamente ritenuti dal Gip intranei all'organizzazione criminale con i vari ruoli descritti al capo 1) della provvisoria incolpazione, coordinati dal dominus della frode individuato in T.D.J., amministratore di fatto dell'intera galassia di società fittizie interessate dalle indagini, avente il ruolo di promotore, dirigente ed organizzatore del congegnato meccanismo illecito.

Analogo ruolo di promozione ed organizzazione veniva attribuito agli amministratori di diritto delle società annotanti le false fatture, siccome ritenuti propulsori e istigatori del disegno criminoso.

Assumevano invece il ruolo di partecipi tutti gli altri soggetti coinvolti nel sistema, taluni con i ruoli di amministratori di diritto delle società fittizie, altri con la funzione di 'spalloni'

deputati ad effettuare i periodici viaggi all'estero per prelevare il denaro depositato sui conti delle società cartiere, altri ancora (come M.) aventi il ruolo di collettori tra i fornitori in nero e i destinatari della merce - cui andava consegnato il denaro contante prelevato all'estero - ovvero di trasportatori della merce.

Vi erano infine i collaboratori di Trombetta cui erano demandate funzioni amministrativo/contabile, deputati a gestire i flussi di denaro verso l'estero e ad emettere le false fatture e i falsi d.d.t. di accompagnamento alla merce.

Ebbene, il Collegio ritiene ampiamente riscontrati i reati contestati a M.P. e analiticamente compendiati nell'ordinanza impugnata, alla quale integralmente si rimanda, considerata la natura complementare delle due ordinanze del Gip e del Riesame allorquando quella originariamente impugnata dia esauriente conto, con motivazione sufficiente, delle ragioni logico-giuridiche che, ai sensi degli artt. 273, 274 e 275 c.p.p., ne hanno determinato l'emissione.

Le risultanze dell'attività investigativa hanno inequivocabilmente dimostrato l'esistenza di un'articolata associazione criminale dedita alla commissione di reati fiscali, ruotante attorno alla figura centrale di T.D.J.

Ed invero, è dimostrata l'esistenza di un nucleo delinquenziale operativo sin dal 2013 e composto di individui dotati di diverse professionalità e specifici ruoli1 2 3 che, nel lasso temporale di osservazione investigativa, hanno realizzato con allarmante frequenza una serie numerosissima di delitti fiscali, generando impressionanti guadagni illeciti: così ad esempio, quando il prestanome C.L. (amministratore della L. Srl) domanda a T. delucidazioni circa lo schema truffaldino ("mi ha detto B. che voi andate in Repubblica Ceca, presentate la fattura e vi danno i liquidi"), quest'ultimo conferma che "c'è dietro tutto un sistema mio ... io mando su i soldi per il pagamento di una fattura di una società che mi fornisce qua ... e ritiro i soldi con un’altra fattura per dire, che dimostra che pago da un'altra parte ... ormai sono due anni che va avanti, o tre ...".

L'uniformità del modus operandi adottato dagli agenti, l'identica natura dei delitti fine da costoro perpetrati e, più ancora, l'inquadramento di tali reati in un più ampio e indeterminato programma criminoso destinato, nelle intenzioni dei sodali, ad orientare il loro operato ben oltre il periodo in cui ha avuto luogo il monitoraggio investigativo, sono fattori indicativi dell'esistenza di un'autentica societas sceleris, ossia di una struttura stabile, alla cui base v'era un accordo genericamente finalizzato alla commissione di reati fiscali del tipo di quelli in concreto perpetrati e la cui vigenza era destinata a protrarsi anche oltre la realizzazione di tali illeciti (non a caso le società venivano di volta in volta sostituite da nuovi schermi destinati ad operare sulla falsariga dei precedenti, ciò che è accaduto anche dopo l'emersione delle indagini con la creazione della società K. srl - cfr. integrazione depositata dal P.M. il 9.10.2019).

Ed è, per l'appunto, l'esistenza di un pactum finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di reati fiscali che vincolava i soggetti che lo avevano stretto anche oltre la commissione dei singoli illeciti programmati, fattore che, in concreto, porta a ritenere certamente configurabile, nella vicenda de qua, il delitto di cui all'art. 416 c.p..

D'altro canto, le indagini hanno consentito di accertare che il sodalizio di cui trattasi vantava una notevole dotazione di uomini e mezzi funzionali al perseguimento delle descritte finalità delittuose: T. aveva invero coinvolto numerosi soggetti di comodo cui intestare formalmente le società cartiere - a tal fine remunerati con uno stipendio mensile variabile tra i 1500 e i 2000 euro (tra i quali G.) ed istruiti dal dominus sulle dichiarazioni da rendere alla Guardia di Finanza in occasione dei primi controlli investigativi - e assoldato collaboratori fidati per effettuare le febbrili operazioni di prelievo di contante dai conti delle cartiere; si era munito di un ufficio ove incontrarsi con i gregari e gestire le operazioni cartolari, di una segretaria italiana (F.) e una estera (tale A., n.m.i.) dedicate alla gestione giornaliera dei flussi monetari e alla formazione dei falsi documenti, nonché di un magazzino volto a mascherare una qualche operatività imprenditoriale; aveva coinvolto un gruppo di associati deputati al trasporto della merce presso le società committenti, oltre che procacciatori di clienti e trait d’union con i fornitori in nero e gli stabili acquirenti (compreso tra questi ultimi C.), aventi il delicato compito di consegnare materialmente il denaro contante quale prezzo della prestazione (ai primi) ovvero la percentuale di retrocessione per l’illecita interposizione (ai secondi).

T., inoltre, si assumeva l’onere delle spese legali che avrebbero sopportato le ’teste di

legno’ in cambio della loro assunzione di responsabilità (cfr. intercettazione C. L. pag. 70 ordinanza cautelare).

Dimostrano l’assunto le numerose intercettazioni in atti e gli esiti delle geolocalizzazioni che danno conto dei costanti viaggi a Praga 0 in Croazia (con cadenza più che settimanale) organizzati mediante un sistema di staffetta volto a prevenire eventuali controlli, nonché della frenetica distribuzione del denaro nelle ore immediatamente successive al rientro in Italia (tantissime nel breve periodo di osservazione e tutte analiticamente esaminate nell’ordinanza impugnata cui integralmente si rimanda).

Confortano tali conclusioni, inoltre, i sequestri operati nei confronti dei sodali (in occasione dei quali, il 10 maggio e il 2 giugno 2018, questi ultimi sono stati trovati rispettivamente in possesso di 299.650,00 e 389.100 euro occultati nelle vetture, dopo aver superato il confine nazionale di rientro da Praga), che danno un limpido riscontro a quanto accertato mediante l’ascolto delle conversazioni e che consentono di confermare la chiave di lettura delle telefonate successive ai viaggi all’estero e dunque di affermare la periodica e immancabile restituzione alle società annotanti di parte del denaro versato a copertura di fatture per operazioni inesistenti.

Da ultimo si segnala il dirimente portato indiziario desumibile dal contenuto delle agende

sequestrate a T. in cui lo stesso, in corrispondenza della sigla delle società acquirenti, appuntava gli importi da restituire.

Ciò posto, si ravvisano gravi indizi di colpevolezza in relazione alla partecipazione nell’associazione di M., siccome stabilmente e consapevolmente inserito nel congegno fraudolento, con il fondamentale ruolo di rilievo sopra descritto, in esecuzione del quale ha fornito un rilevante e cosciente contributo a vantaggio del complessivo meccanismo

frodatorio.

È emerso in modo cristallino dalle investigazioni come T., di ritorno da ogni viaggio

all’estero finalizzato al prelievo del contante, contattasse i suoi collaboratori fidati, tra cui

M., deputati alla rapida distribuzione del denaro tra i fornitori in nero e le società

annotanti.

Il breve periodo di monitoraggio è stato sufficiente a dimostrare la sistematicità di tali

rapporti, che non trovano altra spiegazione plausibile diversa da quella ipotizzata dagli

inquirenti.

Del resto le intercettazioni in atti, dimostrano inequivocabilmente che il sottogruppo di cui faceva parte M. (composto anche da L., S. e B.), era deputato alla consegna del denaro poco prima prelevato a Praga (cfr. dettagliata analisi delle singole operazioni contenuta nell’ordinanza impugnata, cui si rimanda).

La circostanza che M. venisse contattato al termine di tutti i viaggi di T., dimostra inequivocabilrnente lo stabile inserimento del medesimo nell’associazione per delinquere in discorso: la continuatività e significatività del contributo fornito al gruppo

mediante la regolare redistribuzione del contante e la consapevolezza insita nelle metodiche e puntuali consegne e retrocessioni del prezzo, la sistematicità e significatività dell’ausilio prestato al gruppo fondano un grave quadro indiziario in ordine al reato associativo allo stesso contestato.

Volgendo ora l’attenzione ai singoli delitti fine, l’inesistenza (quanto meno soggettiva) delle operazioni fatturate si ricava senza dubbi di sorta dalla totale assenza di strutture

organizzative, dotazioni ed attrezzature delle società emittenti (società cartiere e filtro, cfr.

intercettazione riportata all’all. 2 dell’informativa finale), ciò che esclude categoricamente la possibilità che fossero le stesse a fornire i beni ed i servizi contabilizzati.

A tal riguardo è illuminante la conversazione intercorsa il 9.7.2019 (progr. n. 2403) tra

T. e il suo collaboratore di fiducia C.D. dopo l’emersione delle prime indagini in cui il dominus ordinava al sottoposto di collocare presso il magazzino della L. mezzi ulteriori (’in magazzino da me. . .a Torbole...perché c’è giù un cazzo, c'è solamente il

ragno (meccanico ndr) e basta’) per creare l’apparenza di una qualche operatività (’per far vedere più che altro che c’è movimento di mezzi...cosa dici se mettiamo dentro nel capannone il cassone. . .qaello col ragno, quello rosso?’. . . ”che c’è qualcosa insomma’).

Ancora, si segnale la conversazione in cui T. concordava con il commercialista R.A.A. di apporre una targhetta della società ’filtro’ O. Srl sulla cassetta delle lettere sita presso la sede legale (che coincideva con quella della L.) per mascherare la completa fittizietà dello schermo societario (cfr. progr. n. 2466 del 18 marzo 2018).

Del resto che le società fossero prive di strutture e di fatto inattive emerge dagli esiti dei

servizi di osservazione riepilogati nell’annotazione del 6.3.2018 (cfr. all. 20 all’informativa).

La circostanza che venisse talvolta depositato del materiale ferroso presso i magazzini di

T. (come sembra emergere dall’intercettazione riportata a pag. 81 dell’ordinanza

cautelare — in cui T. ordinava a C. di portare via il rame che c’era in magazzino

— e dalla rilevata presenza di un rimorchio presso il deposito della O. Srl) non

contraddice la tesi investigativa posto che si tratta di circostanze ampiamente compatibili con l’intenzione di T. di simulare una qualche operatività societaria ed in ogni caso sono

senza dubbio inconciliabili con l’impressionante volume di affari fatturato dalle società filtro in questione che avrebbe necessitato di una struttura operativa ben più consistente e di certo regolarmente attiva.

A ciò si aggiunga che i materiali movimentati risultano formalmente provenienti da società ’cartiere’ che certamente non avrebbero potuto realizzare le vendite e le consegne presso i magazzini della L. o delle altre società bufler come le difese vorrebbero sostenere.

Inoltre, sono numerose le intercettazioni in atti in cui T. comunicava agli

autotrasportatori i numeri da inserire sui documenti di trasporto, a dimostrazione che gli

autisti viaggiano con d.d.t. in bianco che completavano successivamente secondo le

indicazioni ricevute telefonicamente da Trombetta, caricavano la merce presso i fornitori in nero (e non già presso le società filtro, diversamente avrebbero ricevuto in quella occasione i documenti di trasporto completi) e la consegnavano alle società destinatarie (cfr. ad esempio pagg. 134 e ss. richiesta cautelare, e in particolare conversazione di cui al progressivo n. 232, all. 267 informativa finale, in cui il trasportatore Paolo Andreoli, dopo aver ricevuto i numeri del d.d.t. da T., contattava un suo autista ordinandogli di caricare la merce a Varese mentre il documento di trasporto lo avrebbe portato direttamente lui alla società destinataria a Sarezzo).

Da ultimo, si segnala la limpida conversazione tra T. e il figlio N. in cui il primo

spiegava al secondo come funzionava la propria attività illecita, descrivendo espressamente il meccanismo dell’acquisto in nero e in contanti dei rottami, la successiva vendita mediante false fatture emesse dalle proprie società e i costanti prelievi di denaro presso i conti esteri delle società cartiere intestate a meri prestanome:


N.: ”com'è che funziona il tuo lavoro papà? "

D.J.: “compro rottame in nero, pago in contanti e lo vendo in fattura "

N.: ”compri il rottame in nero e fai lafattura?...cioè aspetta non ho capito? ”

D.J.: ”compro il rottame in nero, in contanti e lo consegno con le fatture della mia ditta, siccome che praticamente le fatture della mi ditta (farfuglia delle parole) se dovesse uscire...( incomprensibile) ordinarmi il materiale 200.000 euro di bonifico, perchè mi pagano il materiale che io ho venduto in fattura, mi rimangono 100.000 euro di utile, perciò devo creare fatture per abbattere i 100.000 euro c'ho una societa che mi copre, c'è

tutto un movimento di fatturazioni ”

N.: ”e perchè vai sempre su a Praga?”

D.J.: “perchè è l'unico posto dove mi danno i soldi in contanti per pagare i materiali in contanti...rischiamo il riciclaggio ”

N.: ”è difatti!.…è riciclaggio di denaro questo! ”

D.J.: ”è riciclaggio di denaro ”

N.: ”va bè ti non rischi tanto per riciclaggio eh!...Rischi comunque, rischi dai 5 ai 15 anni”

D.J.: “no, non sono 15 anni, praticamente siccome che le società non sono intestate a me, sono intestate a chi?…a gente che rischia ed è pagata perchè comunque si tiene la responsabilità, solamente che devo evitare di avere i collegamenti ”

N.: ”e se ti beccano alla frontiera con i soldi?"

D.J.: ”te li sequestrano! ”

N.: ”e basta? ”

D.J.: ”basta…te li sequestrano, te ne ridanno la metà e l'altra metà devi documentarli in maniera giusta con la documentazione sennò teli ritirano”.


Del resto, la stessa dinamica delle retrocessioni non trova alcuna spiegazione alternativa e si spiega solo in ragione della sovrafatturazione operata dalle società annotanti al fine di abbattere l’imponibile (e quindi le imposte dirette) attraverso la dichiarazione di costi

fittiziamente maggiorati (per una più dettagliata analisi degli indici di fittizietà delle operazioni economiche poste in essere dal gruppo criminale si rinvia alle pagg. 70 e ss.

dell’ordinanza impugnata).

Ciò posto, il fondamentale ruolo di intermediazione svolto dal ricorrente nella redistribuzione del prezzo e del profitto del reato — pe come sopra descritto — fonda un grave quadro indiziario a suo carico in ordine al causale e consapevole contributo fornito alla realizzazione dei delitti di cui all'art. 8 d.lvo 74/00.

Pertanto, alla luce delle considerazioni sopra esposte, deve confermarsi la sussistenza di un solido quadro indiziario a carico di M. in ordine a tutti i reati allo stesso ascritti.

Venendo al profilo delle esigenze cautelari il Tribunale ravvisa in relazione al prevenuto un concreto ed attuale pericolo di recidiva, a tutela del quale si rende necessaria l’applicazione dell’attuale presidio cautelare (come già modificato).

Il quadro indiziario testé delineato dà l’immediata evidenza di un sodalizio perfettamente

organizzato, inserito in un meccanismo ampiamente collaudato, destinato a ripetersi

innumerevoli volte. Ed infatti, le indagini hanno messo in luce una struttura operativa in

grado di rigenerarsi continuamente mediante la costituzione di plurime società fittizie,

talune estere, e il reclutamento di numerosi soggetti cui intestare i predetti veicoli societari ovvero i conti di deposito su cui confluiva il denaro movimentato, successivamente prelevato con cadenze serrate.

Del resto, l’elevato numero di società coinvolte, la cospicua quantità di false fatture emesse e annotate, l'ingente quantitativo di denaro movimentato (ben 16 milioni di euro prelevati solo dalle casse della W.I.P.T. d.o.o. per le annualità 2015—2016, cfr. integrazione

prodotta dal PM. il 9.10.2019) e la rilevante entità dell’imposta evasa, riflettono l’operatività

di un circuito decisamente ramificato, oltre che di un apparato stratificato avente natura

professionale.

Non può infatti ignorarsi la complessità, anche tecnica, del sistema attuato dagli indagati, i quali hanno dimostrato di possedere un’ottima conoscenza dei sistemi societari ed elevate competenze professionali, giungendo a servirsi di società di diritto estero costituite ad hoc per ostacolare l’identificazione della provenienza illecita del denaro movimentato e facilitare i costanti prelievi di denaro contante ammontanti a svariate centinaia di migliaia di euro per volta.

L’abilità dimostrata dai sodali, unita al consistente ammontare dell’imposta evasa e del

profitto conseguito ed al considerevole lasso di tempo in cui le condotte si sono protratte, rende il pericolo di recidiva altamente concreto ed attuale con riguardo a ciascuno di essi.

Tanto premesso, è d’obbligo rilevare il ruolo di fiducia rivestito da M. alle dipendenze di

Trombetta e la fondamentale e significativa funzione allo stesso attribuita nell’ambito della frode: l’assunzione del compito di distribuire il denaro contante ricavato dalla frode sottende un solido rapporto fiduciario con il gruppo ed in particolare con il relativo capo, di guisa da escludere occasionalità della condotta 0 posizione gregaria.

Il pericolo di recidiva è quanto mai attuale, posto che le condotte sono recenti, si sono

protratte a lungo e per tutto il periodo di osservazione investigativa e non può pertanto

ritenersi che il tempo trascorso sia da solo bastato a neutralizzare tout court il rischio di

ricaduta nel reato.

Quanto alla scelta della misura da adottare, ritiene il Collegio che le specifiche esigenze

specialpreventive possano essere adeguatamente tutelate con la attuale misura (come nelle more sostituita) degli arresti domiciliari c.d. ’ristretti’ (vista la natura dei reati e la possibilità di reiterazione col mero uso del telefono e del computer), potendosi ragionevolmente prevedere lo spontaneo rispetto delle relative prescrizioni ma non potendosi al contrario fare affidamento sulle autonome capacità autocontenitive del prevenuto se sottoposto a misure meramente prescrittive.

Sul punto, la indiscriminata disponibilità manifestata al capo del sodalizio e la delicatezza

del ruolo rivestito sottendono scaltrezza e spregiudicatezza criminale, oltre che intenso

proposito criminoso contenibili unicamente con una misura limitativa della libertà di

movimento e comunicazione idonea ad evitare che l’indagato riprenda i consolidati legami nell’ ambiente criminale di riferimento per cercare nuovamente facili guadagni.

Pertanto, ed in conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con riguardo alla posizione di L.R. e S.M. per Violazione del giudicato cautelare; la

misura carceraria disposta nei confronti di M.P. deve essere sostituita con quella

degli arresti domiciliari (misura peraltro già disposta con successiva ordinanza Gip del

4.10.2019) da eseguirsi in M., Via **** n. 1 con divieto assoluto di comunicazione

con qualunque mezzo con soggetti diversi dal difensore e da quelli che coabitano con

l’indagato.

Il tenore della decisione esclude la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese della procedura.

P.Q.M.

Visto l’art. 309 C.p.p.,

Annulla l’ordinanza emessa dal Gip di Brescia il 6.5.2019 (e integrata il 18.7.2019) nei

confronti di L.R. e S.M. e per l’effetto ne ordina l’immediata liberazione se non detenuti per altra causa.

In parziale riforma dell’ordinanza impugnata sostituisce la misura carceraria disposta nei

confronti di Medici Peppino con quella degli arresti domiciliari (misura peraltro già disposta con successiva ordinanza Gip del 4.10.2019) da eseguirsi in M., via *** n. 1 con

divieto assoluto di comunicazione con qualunque mezzo con soggetti diversi dal difensore e da quelli che coabitano con l’indagato.

Per l’effetto ordina l’immediata scarcerazione di M.P. se non detenuto per altra

causa, prescrivendogli di non allontanarsi dalla propria abitazione (con ciò intendendosi le mura domestiche, senza possibilità di accedere a pertinenze, cantine, autorimesse, giardini e cortili comuni e simili) senza l’autorizzazione del giudice che procede.

Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmesso, a cura della cancelleria, al

Pubblico Ministero e alla polizia giudiziaria competente per l’esecuzione e la notifica della

presente ordinanza.

Visto l’art. 309 co. 10 c.p.p.

indica in giorni 45 il termine per il deposito della motivazione dell’ordinanza.

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di competenza.

Brescia, 15.10.2019


Il Giudice relatore

Il Presidente

Dispositivo depositato

nella cancelleria del

Tribunale di Brescia

in data 17.10.19

Il Funzionario Giudiziario

Teresa Monteverdi


TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA

Depositato in cancelleria

Oggi, 26.11.19 ore 13.00

IL FUNZIONARIO

Teresa Monteverdi


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